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Hashtag e #socialmediamarketing: conoscerli per sfruttarli al meglio

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Oggi vediamo una tecnica di comunicazione digitale che sta conoscendo un grande successo, specialmente negli ultimi anni, e che può rivelarsi uno strumento semplice (e gratuito) per migliorare la vostra strategia social: l’utilizzo degli hashtag. Vi sveleremo le origini del tag, come sfruttarlo sulle vostre piattaforme preferite, e quali sono gli errori più comuni da evitare.

Introdotta nell’Oxford Dictionary a partire dal 2016, la parola hashtag (formata dai termini hash, cancelletto e tag, etichetta), come ormai tutti sappiamo, è un tipo di tag utilizzabile nella maggior parte dei social network, la cui funzione principale è quella di aggregatore tematico.

Grazie all’utilizzo dell’hashtag all’interno di post, tweet e stories, infatti, è possibile indicizzare il nostro contenuto e facilitarne la ricerca da parte degli utenti.

Nascita del cancelletto

L’hashtag, come spesso accade per alcune celebri funzioni dei social network, non era inizialmente previsto da Twitter (lanciato nel 2006), piattaforma cui si deve la paternità del celebre cancelletto.

Il primo hashtag della storia, infatti, fu suggerito da Chris Messina (sviluppatore e tech evangelist) il 23 agosto 2007, il quale, in un ormai mitico tweet, propose di utilizzare il simbolo # per aggregare i contenuti. L’idea era semplice e funzionale e venne a Messina coniugando la sua conoscenza delle IRC (Internet Relay Chat, che utilizzavano tale simbolo per indicizzare i contenuti) alla tecnologia dell’epoca. L’iPhone aveva infatti visto la luce solo l’anno precedente, e la gran parte dei dispositivi mobile in circolazione utilizzava ancora le tastiere in plastica, con due tasti che raramente venivano utilizzati: * e #, appunto. Da qui la geniale idea di Messina.

Ovviamente la sfida era convincere gli utenti, nonché Twitter stesso, a utilizzare questa metodologia. Come prevedibile, la piattaforma non prese seriamente in considerazione la proposta di Messina, fino a quando nell’ottobre di quello stesso anno Nate Ritter (e dopo di lui parecchi altri utenti) incluse in numerosi tweet l’hashtag #sandiegofire al fine di tematizzare tutti i post di aggiornamento riguardanti gli incendi che in quell’autunno stavano bruciando le zone boschive attorno a San Diego.

Nel giugno 2009, un altro evento socialmente (e politicamente) rilevante sdoganò definitivamente l’utilizzo del cancelletto a livello internazionale: le elezioni presidenziali in Iran. L’evento contribuì infatti alla popolarità dell’hashtag in una maniera tale che Twitter non poté più ignorarlo e decise di rendere l’hashtag cliccabile, trasformandolo di fatto in un vero e proprio collegamento ipertestuale tramite cui ricercare argomenti d’interesse.

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Twitter e i trending topics

Nel 2010, a seguito del successo ottenuto, Twitter decise di implementare le funzionalità di ricerca tramite hashtag con i trending topics, ovvero una lista aggiornata in tempo reale dei tag più utilizzati dagli utenti della piattaforma.

Utilizzando la app mobile, l’elenco dei trending topics sarà disponibile nella scheda “Esplora”, mentre nella versione desktop, “le tendenze sono visibili in molte aree, tra cui la cronologia principale, le notifiche, i risultati di ricerca e le pagine del profilo” (fonte: https://help.twitter.com/it/using-twitter/twitter-trending-faqs).

I trending topics indicizzano, come la parola stessa indica, gli argomenti più in voga del momento, ma non pensiate che siano universali: come per ogni piattaforma social, la user-experience è personalizzata. Nel caso dei topic più caldi, in particolare, Twitter utilizza un algoritmo che seleziona le tematiche in base agli interessi dell’utente, i profili seguiti e, dal 2012, anche la posizione predefinita.

Interessante notare come solo quest’ultima impostazione sia di fatto modificabile: se desideriamo vedere tendenze non personalizzate, possiamo infatti selezionare manualmente una specifica località, e Twitter ci mostrerà i trend di quell’area geografica.

Dal punto di vista del social media marketing, questa impostazione è particolarmente utile per quelle aziende che si rivolgono a utenti situati in un’area geografica specifica o desiderano colpirne un numero maggiore rientrando nelle discussioni di tendenza locali.

Nonostante Twitter sia la terra natia dell’hashtag, è altresì patria della concisione: come il numero di caratteri disponibili è limitato, così l’utilizzo del numero di hashtag consigliato è di soli 2 benché, di fatto, se ne possa inserire un numero maggiore (fonte: https://help.twitter.com/it/using-twitter/how-to-use-hashtags#). Questo, affinché i “cinguettii” vengano indicizzati al meglio, rientrando solo nelle tematiche più pertinenti.

Attenzione dunque a non eccedere nella scelta di parole chiave, che deve essere oculata e perfettamente “on point” per funzionare al meglio. Un tweet che contiene almeno un hashtag, infatti, è in grado di aumentare l’engagement del 100% (fonte: https://blog.hootsuite.com/twitter-statistics/)

Quanto a capire per quale motivo un argomento diventi di tendenza, a settembre 2020 Twitter ha annunciato che alcuni trend saranno accompagnati da un tweet che aiuti a comprenderne meglio il significato e contesto. I tweet rappresentativi sui trend sono già disponibili su Twitter per iOS e Android e, a breve, anche su twitter.com (fonte: https://blog.twitter.com/en_us/topics/product/2020/adding-more-context-to-trends.html).

Secondo il social network, la funzione (non ancora disponibile in Italia) dovrebbe quindi rendere più trasparente il processo che porta un argomento a diventare di tendenza, scardinando così le illazioni di manipolazione del consenso (o quantomeno di direzione dell’opinione) spesso mosse al mondo social.

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Instagram: il regno dell’hashtag

Ma è grazie all’utilizzo su Instagram, implementato a partire dal 2011, che l’hashtag ha visto crescere la propria popolarità in modo esponenziale. Sul social della vanità, infatti, lo scopo degli hashtag non è solo quello di indicizzare contenuti, renderli popolari e facilmente reperibili, ma anche di mettere in mostra la propria creatività per incrementare il numero di follower.

Da quando nel 2017 la sezione “hashtag” è comparsa nella barra di ricerca “Esplora” del social, Instagram ha di fatto incoraggiato gli utenti a seguire e, di conseguenza a utilizzare a propria volta, gli hashtag afferenti alle tematiche di loro interesse. In questo modo, nel feed notizie di ogni utente, oltre ai contenuti e le stories postati dai profili seguiti, compariranno anche contenuti indicizzati tramite gli hashtag di cui siamo follower.

Anche in questo caso, l’utilità ai fini di marketing è evidente: utilizzando gli hashtag più coerenti con il nostro brand o prodotto, saremo in grado di mostrarlo a un pubblico potenzialmente molto più ampio rispetto a quello dei nostri follower, facendoci così notare e interessando nuovi utenti.

Altra funzione interessante da sfruttare è la creazione di un hashtag ad hoc per tutti i contenuti della pagina, che li indicizzi in modo chiaro e inequivocabile. Il consiglio è di inserire il o gli hashtag aziendali nella bio del profilo, così che siano sempre ben visibili ai visitatori, invogliandoli a seguirli per rimanere sempre aggiornati.

Per quanto riguarda il numero di hashtag disponibili per ogni post, Instagram è decisamente più generoso di Twitter: il numero massimo utilizzabile è di 30 hashtag. Anche in questo caso, attenzione però a non eccedere. Sebbene infatti il numero di tag a disposizione sia molto alto, l’algoritmo di Instagram tende a penalizzare i contenuti che presentano il cosiddetto “muro di hashtag”, poiché li associa più facilmente ad azioni di spam o, quantomeno, a comunicazione imprecisa e contenuti poco chiari o difficilmente indicizzabili.

Ciò significa che un numero maggiore di hashtag non equivale a più engagement: il numero perfetto da utilizzare è tra 8 e 14 (fonte: https://adespresso.com/blog/instagram-statistics/), sempre selezionati con coerenza. Anche un singolo hashtag, se ben scelto, può aumentare l’engagement di un singolo post fino al 12,6% (fonte: https://adespresso.com/blog/instagram-statistics/).

Le modalità di inserimento dei tag nelle stories sono invece principalmente due: tramite l’utilizzo dello sticker apposito (disponibile cliccando sul simbolo della “faccina”), oppure scrivendo gli hashtag come testo, accedendovi con un click sul simbolo “Aa”. Nel primo caso, si potrà inserire un solo tag, nel secondo un numero decisamente maggiore: gli hashtag risulteranno attivi quando il testo comparirà sottolineato.

Un discorso a parte meritano infine alcuni hashtag proibiti (consultabili qui: https://bannedhashtags.com/): a seguito di un utilizzo improprio di centinaia di migliaia di etichette (come #like, #skype, #woman, ma anche #shower o #eggplant), infatti, Instagram ha automaticamente disattivato alcuni hashtag che, non solo non compariranno come ipertesto nelle caption ma, se utilizzati, rischiano di farvi finire nello shadow ban, cioè un “esilio digitale” in cui Instagram relega i contenuti associati a tali tag.

LinkedIn: engagement e networking

Introdotti nel 2018, anche qui gli hashtag risultano essere un valido strumento di indicizzazione dei contenuti. Possono essere utilizzati tanto nei post quanto negli articoli scritti appositamente per LinkedIn e, come per Instagram, è possibile cercarli nella barra “Esplora” e seguirli per rimanere sempre aggiornati sui contenuti più rilevanti del topic.

Vigono anche qui le stesse regole: oculatezza nella scelta, moderazione nel numero, coerenza con il contenuto. La decisione di utilizzarli nel testo del post o in coda è vostra: prestate sempre attenzione però a non abusarne poiché l’algoritmo potrebbe interpretare il vostro contenuto come spam e limitarne la visibilità.

Inoltre, LinkedIn privilegia due tipi di obiettivi nel dare visibilità a un certo topic: valore del contenuto e capacità di engagement. Saper scegliere il giusto hashtag per indicizzare la nostra discussione, quindi, favorisce molto il networking e la possibilità di ampliare la propria rete.

In questo caso, naturalmente, il tenore dei tag dovrà essere di natura professionale: selezionate quindi hashtag coerenti con l’attività del vostro business, con il vostro brand e la vostra area di competenza, nonché con gli interessi dei vostri contatti o potenziali clienti.

Anche su LinkedIn, ben vengano hashtag aziendali che identifichino in modo univoco le vostre attività, ma non abbiate paura di utilizzare anche etichette più capienti per indicizzare al meglio i contenuti.

E se desiderate saperne di più sull’ascesa della piattaforma professionale, non perdetevi il nostro articolo con interessanti dati su LinkedIn.

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Facebook: hashtag e controversie

Implementati sulla piattaforma a partire dal 2013, gli hashtag su Facebook non hanno mai davvero preso piede.

Questo, in primis, per un aspetto costituzionale del social: Facebook è nato infatti come spazio strettamente personale, privato, cui solo i nostri amici hanno accesso.

Molteplici sono i livelli di privacy che si possono impostare sul proprio profilo, arrivando a una “chiusura” totale verso gli utenti che non hanno alcuna connessione con noi. Di conseguenza, i contenuti prodotti da profili non totalmente pubblici saranno meno visibili (e quindi meno indicizzabili), se non addirittura invisibili a chi non rientra nella nostra cerchia di contatti.

Una ricerca del 2016 condotta da Buzzsumo su un miliardo di post di oltre 30 milioni di pagine, dimostrava infatti che, mediamente, la reach organica, ovvero il numero di persone raggiunte da un contenuto non a pagamento (fonte: https://neilpatel.com/blog/13-secrets-thatll-boost-your-facebook-organic-reach/#:~:text=Organic%20reach%20is%20the%20number,a%20result%20of%20paid%20promotions.) non veniva aumentata dall’utilizzo di hashtags (fonte: https://www.socialmediatoday.com/news/facebook-promotes-the-use-of-hashtags-on-posts-but-will-it-improve-post-r/583094/).

Nonostante le opinioni sull’efficacia degli hashtag di Facebook sia a tutt’oggi controversa, anche qui le cose stanno cambiando: soprattutto per le pagine (pubbliche), il social network ne spinge sempre più l’utilizzo, tanto da aver reso reperibili gli hashtag anche nella barra di ricerca come topic da esplorare. Questo anche in virtù della possibilità (sempre più sfruttata) di collegare il proprio account Facebook a quello Instagram che, come abbiamo visto, è il regno indiscusso dell’hashtag.

Quanto agli effettivi risultati che un tale utilizzo può sortire, specialmente nell’aumentare la reach organica dei nostri post, non abbiamo a oggi dati certi, se non che Facebook incoraggia sempre più esplicitamente l’utilizzo dei tag con un’apposita notifica al momento della creazione del post (fonte: https://www.marismith.com/hashtags-on-facebook-increase-organic-reach/?doing_wp_cron=1602254928.6964728832244873046875).

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Come si costruisce un hashtag

Ora che abbiamo una panoramica completa dell’utilizzo degli hashtag nelle diverse piattaforme, vediamo insieme come si costruisce un hashtag.

Dopo il # si possono utilizzare tutti i caratteri alfanumerici e l’underscore (_). Non risultano invece attivi segni di punteggiatura e caratteri speciali nonché, ovviamente, lo spazio.

La costruzione è estremamente intuitiva, come già sappiamo, e potenzialmente qualunque parola, frase o stringa di caratteri è adatta a trasformarsi in hashtag. Attenzione però a due fattori:

  1. il sopracitato shadow ban e gli hashtag proibiti a esso collegati;
  2. la scelta di hashtag già esistenti.

Un celebre (ed esilarante) esempio di disattenzione nella scelta di hashtag già utilizzati è quanto accaduto a Papa Francesco (o al suo social media manager) nell’ottobre 2019. Dopo la canonizzazione di cinque nuovi santi, il Pontefice ne diede l’annuncio su Twitter utilizzando l’hashtag #Saints, senza però notare che tale hashtag era già ampiamente sfruttato (e ufficializzato!) dall’omonima squadra di football americano di New Orleans, i Saints appunto. Solo reazioni ironiche, in questo caso, ma pensiamo a quanto potrebbe costare al nostro brand, in termini di immagine pubblica, una simile disattenzione.

Per verificare la liceità di un hashtag, sia in termini di proibizione che di coerenza, è bene utilizzare tool esterni che ci aiutino a stabilire quali tag siano più in linea con il nostro contenuto. Uno studio approfondito degli hashtag della concorrenza, inoltre, risulta essere di valido aiuto nella creazione di una strategia organica sui social network.

Oltre alla consultazione manuale di post e hashtag sulle singole piattaforme, numerosissimi sono gli strumenti, gratuiti o a pagamento, che consentono di svolgere questa semplice operazione per massimizzare i risultati dei nostri post, come ad esempio Ninjalitics (https://www.ninjalitics.com/) per Instagram, o Keyword Tool (https://keywordtool.io/) che funziona per le piattaforme più disparate, da YouTube a Bing, e consente di selezionare la lingua di riferimento oltre a dare consigli pratici su come creare o sfruttare al meglio gli hashtag.

Benché si tratti di una funzione gratuita e ormai integrata nelle piattaforme social che utilizziamo quotidianamente, gli hashtag sono un potente strumento di indicizzazione dei contenuti (assimilabile alla SEO per i motori di ricerca) che, in maniera organica, consente di ottenere il massimo risultato al minimo costo.

A questo punto, non vi resta che scegliere gli hashtag più coerenti, o ideare quello perfetto per il vostro brand, e creare la vostra strategia di social media marketing di #successo.